DIARIO DEL FESTIVAL- 2.07.2017- Il sacro degli altri
Diario Del Festival
Progetto di alternanza scuola – lavoro realizzato dai ragazzi della classe III U del Liceo delle scienze Umane Camillo Finocchiaro Aprile di Palermo
IL SACRO DEGLI ALTRI: CULTI E PRATICHE RITUALI DEI MIGRANTI IN SICILIA.
Uno sguardo dall’interno: intervista ad Attilio Russo e Giuseppe Muccio.
La mostra “Il sacro degli altri: culti e pratiche rituali dei migranti in Sicilia” ha proposto delle fotografie realizzate da Attilio Russo e Giuseppe Muccio che documentano la varietà dei culti di migranti stanziati in Sicilia in tempi diversi e per ragioni diverse.
Attraverso questa mostra ci si può accorgere di come il nostro territorio sia divenuto uno spazio che accoglie una molteplicità di riti di religioni differenti. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare i due fotografi: Attilio Russo e Giuseppe Muccio.
<< Com’è nata l’idea di documentare feste religiose e pratiche cultuali? >>
<< Il progetto è nato per caso – dice Attilio Russo – mentre ero a Catania ho assistito ad una processione induista che consiste nel lasciar dissolvere in mare una statua di Ganesh con del materiale friabile, come il sale o la sabbia, in occasione della festa di Sant’Agata. Successivamente ho deciso di coinvolgere Giuseppe Muccio per approfondire la ricerca >>.
<< Dal punto di vista antropologico cosa l’ha colpita? >>
<< Tutte le religioni – dice Giuseppe Muccio – hanno lo stesso scopo ovvero quello di ingraziarsi la propria divinità in cambio di un “favore”. Ho toccato con le mie stesse mani le usanze delle altre culture facendole mie e collegandole alla nostra cultura >>.
La propria tradizione, quando non è praticata nei luoghi d’origine, riesce ad essere più forte e più sentita rispetto ai luoghi in cui è nata e in cui è ufficialmente praticata: un esempio è “Little Italy”, il quartiere italiano di New York, dove le tradizioni ed usanze Italiane vengono praticate in un modo che sembra non risentire del trascorrere del tempo.
L’approccio utilizzato dai due fotografi è partecipante e diretto, in modo che i soggetti coinvolti si sentano a proprio agio e non si sentano influenzati dalla presenza di estranei osservatori.
E’ molto interessante scoprire come culture apparentemente differenti e distanti, abbiano in realtà molti tratti comuni che, nel caso dei culti religiosi, hanno a che fare con la dimensione della spiritualità.
Giorgia Calì e Aurora Biraghi
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