Diario Festival – 13 settembre – Ama-San: il rumore del silenzio – Benedetta Baron Cardin
Ama-San: il rumore del silenzio di Benedetta Baron Cardin
Alle 21.15 due occhietti a mandorla color dell’ebano compaiono improvvisamente sullo schermo della Sala dei Trecento: sono quelli curiosi di un bambino giapponese che scruta con singolare attenzione qualcosa davanti a lui. Inizia così Ama-San, docufilm della regista portoghese Cláudia Varejão.
“Ama” in giapponese significa “donne del mare” e indica le tradizionali pescatrici che d’estate si immergono in apnea negli abissi dell’oceano Pacifico, alla ricerca di molluschi e delle preziose conchiglie abalone.
La regista celebra l’attaccamento alla natura provato dalle donne che traggono da essa la linfa vitale che infonde loro l’energia necessaria per il lavoro. È quanto appare in una delle prime scene del film, dove a mani nude una donna ara il terreno brullo di un campo.
Guardando il documentario si può notare che la regista portoghese indugia sui rituali delle Ama. Il modo in cui indossano il fazzoletto bianco sotto la cuffia della muta diventa una dimensione fondamentale del loro essere: ognuna lo fa a modo suo, trasformandolo in un gesto straordinariamente intimo.
Le scene più suggestive sono, secondo me, quelle che colgono le donne mentre svolgono il lavoro di pescatrici: una volta superato il primo impatto con l’acqua fredda dell’oceano, si immergono nel profondo degli abissi. Un senso di leggerezza infinita invade la sala: anche noi oscilliamo nell’oceano, fluttuiamo nell’acqua con la stessa levità di corpi celesti sospesi nell’universo. Il movimento circolare delle onde accarezza le alghe dorate che adornano gli abissi profondi: in quei luoghi remoti domina il rumore del silenzio.
Fuori dall’acqua, le mute da sub prive di vita portano i segni dell’esperienza appena vissuta, ancorate a una staccionata vengono mosse da una brezza leggera e tenace. Rievocano la dolce danza che le animava in acqua: movimenti fluidi descrivono linee morbide nella luce rifratta che penetra nel fondale marino.
Le Ama sono donne serene e indipendenti la cui forza è il costituire una comunità, collaborando reciprocamente e condividendo momenti di preghiera e di convivio. La figura femminile è celebrata come la stella fissa di tutti i membri della famiglia, in lei risiedono infatti la saggezza conquistata negli anni, le tradizioni di un’arte antichissima e il rispetto delle creature della natura.
Il frame finale è in una panoramica a 360 gradi: così come lo sguardo della regista aveva abbracciato in modo puntuale e accurato lungo il corso dell’intero documentario il volto della quotidianità delle Ama, ora la macchina da presa inquadra, dapprima, le onde del mare, poi, le pescatrici che si tuffano dalla barca, per soffermarsi infine sul litorale di un’ isoletta e allontanarsi lentamente, oscillando tra le onde dell’oceano.
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