Diario Festival – 14 settembre – Aquagranda in filmando – Anna Dal Ben
Aquagranda in filmando di Anna Dal Ben
Eccoli davanti a noi i protagonisti di “Aquagranda in crescendo”.
Mentre il direttore artistico del Sole Luna Festival, Andrea Mura, rivolge qualche domanda a noi spettatori, ancora intontiti dal rumore dell’acqua, fa uno strano effetto vedere nella Sala dei Trecento, davanti allo schermo, Damiano Michieletto e Filippo Perocco, rispettivamente regista e compositore di Aquagranda, che fino a un momento fa, erano solo figure proiettate.
Giovanni Pellegrin, regista del docufilm, ha scelto di raccontare il backstage di un’opera straordinaria: commissionata dal Teatro La Fenice, evento artistico e commemorativo, Aquagranda è strettamente legata al territorio in cui nasce. Rievoca un momento drammatico della storia di Venezia: la devastante alluvione del ’66, che sommerse la città e rischiò di farla sprofondare irrimediabilmente.
Il docufilm alterna il racconto dei testimoni di quella drammatica esperienza a riprese dietro il sipario del Teatro La Fenice, dove si muove il grande ingranaggio dell’opera tra storie di attori, scenografi, coreografi, tecnici, cantanti, musicisti, costumisti, che la videocamera di Pellegrini, osservatrice discreta, documenta, ripercorrendo l’evoluzione del progetto dalla sua nascita.
Grande spazio è dato ai primi genitori di Aquagranda, Perocco e Michieletto, la cui regia e musica ha dato forma a uno spettacolo acclamato e dal pubblico e dalla critica per la sua potenza drammatica. Abbiamo l’occasione di scambiare due parole con i due e con Livia Rado, compagna di Perocco e cantante nel ruolo di “Lilli” nell’opera. Michieletto deve scappare. Il regista, nominato “enfant prodige del teatro dell’opera”, ha i figli a casa che lo aspettano. Anche questo fa parte della bellezza di SoleLuna: il mondo del documentario in sé, ma anche l’incontro vero e proprio con i protagonisti del festival cancella quel filtro fasullo e distante dal cinema del reale che tende a farci mitizzare celebrità e personaggi del grande schermo. Con umiltà Michieletto dice che ha visto stasera per la prima volta il documentario completo. “Hanno fatto un lavoro impegnativo”, dice, “un bel mix tra quello che è il racconto dello spettacolo vero e proprio e quello che è il mondo del teatro”, e aggiunge: “spero che abbia fatto venire voglia magari ai giovani, a chi sogna un lavoro in futuro, di avvicinarsi a questo mondo”. Lo lasciamo correre a casa e ci avviciniamo a Livia, cercando di fare piano per non svegliare il suo bambino, che le si è addormentato in braccio.
Com’è stato vederti da fuori? “Quello che ricordo di questa esperienza è un’energia grandissima che univa tutti, che veniva dall’evento in sè e quindi dalla memoria storica di quello che era e che noi tutti sentivamo. Era molto sentito lì in teatro e a Venezia, con il fatto di dover mettere in piedi un’opera da zero, eravamo un po’ tutti sulla stessa barca. C’era chi magari aveva meno esperienza, chi ne aveva di più con il palcoscenico, ma eravamo tutti allo stesso livello perché di fronte a questa cosa completamente nuova. Rivedere il documentario, più che rivedere l’opera, tutte le prove, la scena, i commenti, è stato molto forte. Rivivere tutto è molto bello.”
Com’è cambiato il tuo rapporto con la città di Venezia, se è cambiato? “Io non avevo avuto modo di avere grandi rapporti con Venezia prima di allora, quindi di sicuro adesso ho un rapporto più affettivo, c’è un legame diverso anche per il fatto aver partecipato ad un ricordo di un momento così sentito e significativo per la città.”
Diverso, invece, l’approccio di Filippo Perocco, che si avvicina a Livia, prende in braccio il bambino, e ci racconta quello che è stato il suo legame con la laguna: “Io ho studiato a Venezia, al conservatorio, quindi è una città che frequento da tanti anni. Sappiamo tutti il fascino di Venezia, non ci vuole molto a conoscerla e ad apprezzarla. Qui si è trattato di conoscerla in maniera un po’ più intima sotto un certo punto di vista, non tanto il centro di Venezia ma i luoghi periferici come potrebbe essere Pellestrina. L’opera è ambientata lì, ho fatto delle ricerche sui canti lagunari, sono stato lì e quindi ho conosciuto tutta un’altra faccia della città, meno inquinata dalla velocità di adesso. Nel giro di dieci anni si è tutto accelerato, in maniera iperbolica. Quando arrivi a Pellestrina apprezzi questa pace, questa città che sembra incantata sotto un certo punto di vista, ma non in estate. Io sono andato lì a marzo/aprile in un periodo in cui era meno frequentata. Venezia la conosci anche attraverso i luoghi della cultura; io avevo già lavorato in Fenice, per dei brani sinfonici, ma lavorare su un’opera vuol dire lavorare nella città perché conosci i lavoratori, le maestranze, tutti quelli che lavorano lì dentro; scopri un labirinto di professionisti, dalla sarta al macchinista, e quindi anche lì entri in contatto con l’uomo, con la persona, e tanti di loro magari avevano vissuto l’alluvione nel ’66. È stata un’occasione per conoscere un calore diverso.”
Lo chiedo anche a lei: com’è stato vedersi da fuori? “Vedere il lavoro che è stato fatto (questa è la terza volta che vedo questo film vietato in un luogo pubblico) ogni volta mi fa provare emozioni sempre più grandi, e poi il lavoro che ha fatto Giovanni è veramente di alta qualità. C’è stato questo incontro. Ora riesco a pesare sempre più il grande lavoro che è stato fatto da parte di tutti quanti, come ho detto prima, tante persone che si sono trovate a lavorare per quest’opera nuova, questo lavoro sconosciuto che è stato creato da tutti e che si percepisce, si rinnova rispetto a quello che avevo visto in quei giorni. Tutti si sentivano attori principali di un progetto al quale credevano profondamente, e questo io l’ho proprio percepito, riverbera.”
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